Dicembre 2008: 30 cambi di guida tecnica

panchinaMaterazzi alla guida dell’Olympiakos Volos | 30.12.2008 – All.  Beta Ethniki (GRE);
Sonzogni al Monza | 29.12.2008 – All. Lega Pro – 1^ Div. Gir. A (ITA);
Derby County, Chris Hutchings sostituisce Paul Jewell | 29.12.2008 –All. L. Championship (ING),
Fernandez allo Stade Reims | 26.12.2088 – Ligue 2 (FRA);
Jan Willem van Dop all’Utrecht  | 23.12.2008 – All. Eredivisie (OLA);
Simon Grayson sostituisce Gary McAllister al Leeds  | 23.12.2008 – All. League one (ING);
Hugo Sanchez all’Almeria | 23.12.2008 – All. Liga (SPA);
Il Monza esonera Dario Marcolin | 23.12.2008 – All. Lega Pro 1^ Divisione Gir. A (ITA);
Il Real Murcia esonera Clemente | 18.12.2008 – All. Liga (SPA);
Le Havre, il nuovo tecnico è Hantz | 18.12.2008 – All. Ligue 1 (FRA);
Cluj, esonero per Trombetta | 18.12.2008 – All. Liga (ROM);
Ante Mise e’ il nuovo allenatore dell’Hajduk Spalato | 17.12.2008 – All. 1.nhl league (CRO);
Allardyce nuovo allenatore del Blackburn | 17.12.2008 – All. Premier League (ING);
Giacomense: via Benuzzi, arriva Rossi | 17.12.2008 – All. Lega Pro – 2^ Divisione Gir. B (ITA);
Steaua: Lăcătuş torna in sella | 16.12.2008 – All. Liga (ROM);
Mondonico alla Cremonese | 16.12.2008 – All. Lega Pro – 1^ Divisione Gir. A (ITA);
Pillon nuovo allenatore della Reggina | 16.12.2008 – All. Serie A (ITA);
John Collins è il nuovo allenatore dello Charleroi | 15.12.2008 – All. Juliper League (BEL);
Cavalli nuovo tecnico del Nîmes | 15.12.2008 – All. Ligue 2 (FRA);
Stringara nuovo tecnico del Taranto | 15.12.2008 – All. Lega Pro – 1^ Divisione Gir. B (ITA);
Real, esonerato Schuster. Al suo posto Ramos | 09.12.2008 – All. Liga (SPA);
De Biasi esonerato. Novellino sulla panchina del Torino | 08.12.2008 – All. Serie A (ITA);
Renzo Gobbo al Montichiari | 08.12.2008 – All. Lega Pro – 2^ Divisione Gir. A (ITA);
Dario Bonetti nuovo allenatore della Juve Stabia | 08.12.2008 – All. Lega Pro – 1^ Div. Gir. B (ITA);
Colomba nuovo tecnico dell’Ascoli | 08.12.2008 – All. Serie B (ITA);
Mutti alla Salernitana | 08.12.2008 – All. Serie B (ITA);
Pehrsson alla guida dell’Aalborg | 02.12.2008 – All. SAS Ligaen (DAN);
Esnal sulla panchina dell’Espanyol | 02.12.2008 – All. Liga (SPA);
Val di Sangro, Petrelli sostituisce Perri in panchina | 01.12.2008 – All. Lega Pro – 2^ Div. Gir. C (ITA),
Isola Liri, Zecchini nuovo tecnico | 01.12.2008 – All. Lega Pro – 2^ Divisione Gir. C (ITA).-

Il punto sul campionato con Giuseppe Papadopulo

Giunti quasi al termine del girone di andata dei campionati italiani, è tempo di primi bilanci. Daniela Asaro Romanoff ha chiesto a Giuseppe Papadopulo, che di recente a Vittoria (CT)  ha ricevuto l’ennesimo riconoscimento quale “Miglior Allenatore della Serie B ” per la stagione 2008, alcune considerazioni sull’andamento del calcio italiano.

Mister, Lei considera equilibrato il Campionato di calcio in corso?
Per quanto riguarda le prime posizioni, direi che sono posizioni meritate, ma anche scontate. Come si fa a dire se c’è equilibrio? Potrei dire che quando l’Udinese stava ottenendo buoni risultati, allora il Campionato era davvero interessante.
Si è sorpreso per qualche posizione in classifica che non si aspettava?
Sorpreso fino ad un certo punto: l’Atalanta è un’ottima squadra e lo sta dimostrando, mi fa molto piacere. Non avrei mai pensato che il ‘Torino’ si sarebbe trovato in difficoltà.
A proposito delle squadre che stanno soffrendo, cosa può dirci del ‘Chievo’?
Il ‘Chievo’  non è ancora molto staccato dalle altre, e a questo punto del Campionato può ancora avere l’opportunità di risorgere, non è assolutamente spacciato.
Secondo Lei, Mourinho è un bravo stratega o è aiutato da calciatori eccezionali?
E’ sicuramente un bravo allenatore, ma non dobbiamo dimenticare che ha a disposizione calciatori bravissimi, di grande talento, quindi, senza nulla togliere all’abilità di Mourinho, la squadra non avrebbe problemi di classifica anche se al suo posto ci fosse un altro allenatore.
Una sua opinione su Adriano?
Prima di tutto Adriano deve capire cosa vuol fare della sua vita, va aiutato, indubbiamente, comunque sono certo che l’Inter si adopererà in tal senso.
Noi siamo curiosi,  come sono le domeniche di Papadopulo?
Si va a vedere il ‘Siena’.

Il grande talento di Giuseppe Papadopulo non deve venire annullato dal calcio – industria – affare commerciale

Autore: Daniela Asaro Romanoff

In un Paese calcisticamente normale, evito di utilizzare altri vocaboli,
un allenatore di grande esperienza e grande talento come Giuseppe Papadopulo, non sarebbe ‘disoccupato’.
E’ già molto strano che una squadra, portata in serie ‘A’ con un lavoro metodico e intelligente durato quasi due anni, lasci andare un allenatore così prezioso. A ‘Lecce’, la festa per la vittoria, dopo i play off, è stata ‘raggelata’ dalla notizia che Giuseppe Papadopulo non avrebbe più allenato quella squadra. Dovrebbe essere nel regolamento della F.I.G.C.: l’allenatore che porta una squadra in serie ‘A’ oppure le fa vincere uno scudetto, vedi caso Mancini, non può essere allontanato, perlomeno per tutto l’anno successivo.
E’ una questione di correttezza sportiva. Ho già scritto, in un articolo che si può trovare nel web, che gli allenatori, oggigiorno, sono come birilli. Secondo me, in questo nostro calcio deteriorato, l’allenatore è la persona più preparata e quella che lavora di più, sicuramente è quello che si mette in gioco più di tutti e non ha ‘filtri’, raramente può ‘glissare’ come fanno certi presidenti. Per i presidenti la F.I.G.C. dovrebbe prevedere parecchi limiti, presidenti non padroni della squadra.
Nell’estate del 2007, osservando molto bene le sedute di allenamento tenute da Papadopulo a Tarvisio, durante il ritiro del ‘Lecce’, ho capito che ci sarebbe stata la concreta possibilità di approdare alla serie ‘A’.
La sua chiarezza di idee, il suo non stancarsi mai di insegnare e ancora insegnare… avevo l’impressione che in campo ci fosse un professore, un bravissimo professore, molto vicino ai suoi alunni-calciatori.

E’ ricco di contenuti, di qualità umane Giuseppe Papadopulo, nel mondo della superficialità, in un ambiente calcio-industria-spettacolo in cui il calcio, per fare audience, è commentato dalle ‘Barbie telecomandate’ o dai ‘Big Jim telecomandati’, Papadopulo è coerente, è uno sportivo autentico, che non si svende come certi suoi colleghi.
Giustamente lui ricorda con grande affetto società calcistiche come la ‘Lazio’, il ‘Livorno’, squadre nelle quali ha giocato come centrocampista, e poi ha allenato. Nel suo cuore ci sono il ‘Siena’, che ha portato in serie ‘A’ e anche il ‘Palermo’. Ambienti calcistici che hanno compreso il suo valore, dove si è sentito parte di un gruppo, perché, non dobbiamo mai dimenticarlo, lo spirito di squadra è fondamentale. Spesso il calcio è un gioco di squadra in cui prevale l’individualismo. Di frequente, a causa di deleterie manie di
protagonismo da parte di persone che evidentemente si sentono frustrate, l’allenatore viene silurato. Vorrei ricordare a tutte le persone ‘frustrate’ del calcio, che al mercato di Kabul c’è chi vende anche un tozzo di pane… .
Riflettiamo, e cerchiamo di essere logici, obiettivi, leali. Un allenatore vale per le sue capacità, non per le conoscenze che ha, non per le televisioni che lo ospitano, non per i salotti che frequenta! E certe società calcistiche non dovrebbero essere come quella famosa casa di New Orleans, di cui parla Bob Dylan nella sua famosissima canzone:” C’è una casa a New Orleans, è stata la rovina di molti ragazzi…”.   Non vogliamo ‘case di New Orleans’, ma ‘case dello Sport’, non dobbiamo mai dimenticare quanti bambini e ragazzi hanno il calcio come punto di riferimento. Spesso io concludo i miei articoli ricordando i bambini e i ragazzi, perché, ho l’impressione che, in tutta questa ‘fiera delle vanità’, a loro si pensi molto poco.
Daniela Asaro Romanoff

Ravanelli, Cosmi, Novellino e Castagner: tutti attori ne “Il maestro di lingue”

Nel 2004 Federico Castagner, figlio del noto allenatore attualmente commentatore TV, si è cimentato nella stesura di un romanzo di narrativa dal titolo “Il maestro di lingue” edito da Era Nuova. Oggi il suo lavoro è diventato un film, realizzato con un budget limitatissimo (appena 1500 euro) e in proiezione per la prima volta il prossimo 9 gennaio al cinema Pavone di Perugia: realizzato tra Perugia e Spoleto la pellicola susciterà molta curiosità per gli attori presenti.

Per la regia di Diego Piccioni e le musiche di Paolo Ciacci, il film vede nei panni di attori volti noti del mondo del calcio. Ha recitato infatti Fabrizio Ravanelli, agente di polizia addetto agli identikit, ma anche il vulcanico Serse Cosmi, galeotto, e Walter Novellino, aiutante del questore, oltre a Ilario Castagner, il papà dell’autore del romanzo che si cimenterà nei panni di un medico; nel lungometraggio, che andrà in futuro in onda anche in television, recitano anche Simona Marchini, Claudio Sabelli Fioretti e Elio Pandolfi.

Osvaldo Bagnoli: il mago della porta accanto

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Articolo pubblicato per gentile concessione del sito Storie di Calcio

Di lui non si può dire che sia stato un innovatore tattico o un roboante condottiero di uomini.
Eppure pochi come Osvaldo Bagnoli hanno saputo sottolineare con gli esiti del proprio lavoro l’importanza dell’allenatore.
Smentire l’assioma che vorrebbe ininfluente il tecnico, senza la presenza di adeguati fuoriclasse. Il Verona 1984-85, ultimo intruso della storia all’esclusivo desco metropolitano dello scudetto, non conteneva fuoriclasse, ma un gruppo di buoni giocatori, nessuno dei quali, oltre quella parentesi, ha annoverato in carriera grandi conquiste da primattore. Eppure Osvaldo Bagnoli, con quel suo fare ammiccante e riservato, riuscì a portarlo allo scudetto, superando rivali che i fuoriclasse invece li avevano ben esposti in vetrina.

Osvaldo Bagnoli è stato un tecnico ruspante, ma nel senso migliore del termine. Niente a che vedere con certi abborracciati saperi calcistici di provincia. Piuttosto, la fedeltà alle umili origini portata come una medaglia al pari dell’etichetta vagamente ironica applicatagli all’epoca dei primi successi in Serie A: “il mago della Bovisa”. Alla Bovisa, quartiere proletario di Milano, doveva i natali, e al sapore schietto degli anni giovanili, spesi a giocare a calcio con gli amici a piedi nudi sui prati, come in una vecchia canzone di Celen-tano, faceva risalire l’amore per il pallone. Figlio di operai, Osvaldo Bagnoli venne notato nell’Ausonia dal talent scout Malatesta, che lo portò al Milan. Era una mezzala di buona tecnica e dal tiro schioccante, ma il Milan dei Liedholm, Nordahl e Schiaffino non poteva riservargli che uno spazio ridotto, sufficiente tuttavia per la firma sotto lo scudetto del 1956-57. Il suo giro d’Italia lo portò tre stagioni a Verona, una all’Udinese, tre al Catanzaro, tre alla SpaL, una ancora all’Udinese prima della chiusura da libero, cinque stagioni di fila nel Verbania, in C, a far da chioccia a numerosi talenti.

Fu il direttore sportivo Carlo Pedroli, deus ex machina di quella formazione, a intuire in Bagnoli qualità di allenatore. Lo consigliò alla Solbiatese, stessa categoria, sicché non appena smessi i panni di giocatore l’uomo della Bovisa si ritrovò addosso quelli di tecnico. L’avventura si interruppe all’ottava di ritorno, quando mandò fuori dagli spogliatoi il presidente entrato nell’intervallo per consigliargli una mossa tattica. Poche ore dopo, Bagnoli assaporava il gusto acre del siluro, che sta alla carriera di allenatore più o meno come la pioggia al mese di marzo. In giro aveva lasciato qualche amico, come Pippo Marchioro, compagno di strada nel Milan e poi a Catanzaro, che lo chiamò come aiutante di campo nel Como, in Serie B. Qui Bagnoli si applicò anche ai giovani e con tanto entusiasmo da rifiutare l’anno dopo di seguire Marchioro al Cesena. Fu la svolta della carriera, perché quando il tecnico in prima, Beniamino Cancian, venne silurato dopo dodici giornate, i dirigenti lariani pensarono proprio a lui. Il Como era ormai spacciato e il nuovo tecnico non ne cambiò il destino, tuttavia i quindici punti in diciotto partite convinsero i dirigenti a insistere su di lui per la stagione successiva. Sesto posto in B, seguito l’anno dopo a Rimini da una salvezza col sapore della grande impresa.

Quando gli arrivò la chiamata del Fano, due categorie più sotto (C2), Osvaldo non ritenne di dover fare troppo il difficile. In fondo, il mestiere gli piaceva e non c’era bisogno di coltivare esagerate ambizioni per farlo bene. Invece a Fano inseri la presa diretta. Colse il primo posto e la C1, guadagnandosi il ritorno in B, a Cesena, dove prima sfiorò e poi mise a segno il salto in A. Stava diventando uno specialista e come tale lo assunse il Verona, che puntava giusto alla promozione in A. Formidabile motivatore di uomini, sapeva di ognuno quale tasto toccare per spingerlo verso il meglio. Di solito le sue squadre partivano piano, per poi carburare grazie ai suoi meticolosi ritocchi e chiudere alla grande.
Il Verona volò in Serie A e qui confezionò una stagione monstre, conquistando il quarto poston e mancando la Coppa Italia d’un soffio, dopo aver battuto la Juventus nella finale d’andata.
Era un Verona coraggioso, illuminato dalla classe di Dirceu e dalla larghezza di vedute del tecnico: che il fantasista brasiliano se l’era ritrovato in rosa senza averlo chiesto e poi vi aveva modellato il volto dell’attacco, rinunciando a una punta a fianco di Penzo, per favorirne gli inserimenti offensivi. Soprattutto, però, era la squadra dei grandi risorti.

Personaggi gettati nel cestino della mediocrità dai club di provenienza e rivitalizzati fino a misure da campioni dal maestro di panchina. Il lavoro di cesello dell’artigiano Bagnoli produceva capolavori: il mediano Volpati, approdato a Verona credendosi a fine carriera e poi per sei anni tra i più continui difensori della squadra; il terzino Luciano Marangon, alfine compiuto come incursore mancino dopo le promesse nel vivaio della Juventus; il portiere Garella, trasformatosi da sgangherato collezionista di papere in funambolico acrobata; il tornante Fanna, fiore mai del tutto sbocciato nella Juve, risorto come imperiale fantasista delle corsie laterali; il regista Di Gennaro, promessa mancata della Fiorentina; il libero Tricella, scaricato dall’Inter. In pratica, il Verona aveva avuto un solo straniero, Dirceu, dato che l’altro, lo stopper polacco Zmuda, si era subito sfasciato finendo in infermeria. Nell’estate del 1983 il tecnico approvò la politica del club, che non aveva soldi da spendere: cessione degli elementi più pregiati, Dirceu al Napoli, Penzo alla Juventus, Oddi alla Roma, e nuova infornata di elementi da riciclare. Lo stopper Silvano Fontolan, gran colpitore di testa (fratello maggiore dell’attaccante Davide), il ventenne attaccante tascabile Galderisi, funambolo dell’area di rigore finito a immalinconire tra le riserve della Juve dopo gli exploit iniziali, e il centrocampista Bruni, scartato dalla Fiorentina. Il Verona debuttò in Coppa Uefa e visse una nuova stagione da guastafeste delle grandi, finendo al sesto posto.

A quel punto, furono sufficienti due mosse per chiudere il mosaico. Nell’estate del 1984, mentre approdava in Italia Diego Maradona, il Verona si affidava a due stranieri di fascia medio bassa.
Hans-Peter Briegel, gigantesca statua a rotelle, nella Nazionale tedesca agli Europei come difensore puro aveva impressionato solo per la forza fisica; l’attaccante danese Preben Larsen-Elkjaer, meglio conosciuto solo con il secondo dei due cognomi, quello della madre, aveva ben figurato nella rassegna continentale, ma si proponeva come un’incognita. Partito per il solito onorevole campionato di rincalzo alle grandi, il Verona restava in testa dalla prima all’ultima giornata, macinando un calcio vigoroso e spettacolare.
Bagnoli trasformava Volpati in terzino marcatore, faceva di Briegel un mediano incursore di devastante efficacia e in avanti combinava l’agile potenza di Elkjaer ai guizzi del piccolo Galderisi.

La Juve di Platini uscì presto dal giro, l’Inter di Rummenigge duellò a lungo invano, il Torino col suo rush finale conquistò solo il secondo posto. In un panorama ricco di stelle, lo scudetto del Verona rappresentava il premio all’umiltà e alla forza creativa dell’allenatore.
Che spiegava così la propria filosofia tattica: «Il calcio è un gioco semplice, non sono indispensabili astruserie come la zona o il pressing. L’importante è avere la fortuna di trovare gli uomini giusti per metterli poi nei posti giusti; lasciandoli liberi di esprimersi».
La simbiosi tra la città e il tecnico, ormai da tempo stabilitovisi con la famiglia, non poteva essere più completa.
Nella festa dello scudetto, facevano furore gli “Osvaldini”, piccoli bulldog di terracotta con la divisa del Verona, omaggio alla ruvida bonomia di un uomo capace con la sua semplicità di conquistare tutti.
Ai complimenti, reagiva con semplici alzate di spalle. Per il trionfo, riusciva a stirare appena un lieve sorriso. Parlava con gli occhi, più che con la bocca.

Quando il campione del mondo Bearzot confessò che il modulo della Nazionale si riconosceva in quello del Verona, il mago della Bovisa si schermì: «Io Bearzot non lo conosco tanto, avrei bisogno di andare a cena con lui. Non so che carattere abbia, mi è difficile spiegare paragoni del genere».
Non era posa, come il tempo avrebbe poi confermato, ma la sincerità di un uomo con il terrore delle esagerazioni. Forse anche per questo il suo Verona non uscì più dalle righe, subito eliminato dalla Juve in Coppa dei Campioni (soprattutto per le nefandezze dell’arbitro Wurz), ma pure al riparo dal rischio di crolli repentini così facile per le provinciali salite all’improvviso sul tetto della gloria.
Altre quattro stagioni, quasi sempre di buona levatura, Bagnoli trascorse alla guida del Verona, prima che una grave crisi sfaldasse le basi finanziarie del club. Nell’estate del 1989 l’ombra del fallimento si allungò sulla società. Venne compicciata in extremis alla bell’e meglio una rosa di giocatori, grazie soprattutto a prestiti di altri club, con la destinazione della retrocessione già segnata sul foglio di partenza.
Bagnoli avrebbe potuto astenersi, ascoltando le sirene che dà più d’una piazza importante cantavano per lui. Ma preferì vivere fino in fondo la parabola della squadra, che alla fine retrocesse, ma all’ultimo tuffo e dopo aver sfiorato il miracolo.
Il distacco da Verona non fu facile. Bagnoli avrebbe voluto restare per edificare la risalita, ma la nuova dirigenza gli diede il benservito. Lo chiamò a Genova Aldo Spinelli, avendone in cambio in pochi mesi un capolavoro.

Pur senza ingaggiare grandi nomi, grazie a Bagnoli il Genoa riebbe dopo anni una fisionomia tecnico tattica solida e spettacolare.
Con la difesa imperniata sul libero Signorini, il centrocampo affidato alle geometrie di Bortolazzi e alle incursioni di fascia di Eranio e Ruotolo da una parte e Branco dall’altra, con l’attacco micidiale del gigante Skuhravy complementare al piccolo e guizzante Aguilera, i rossoblu si piazzarono a uno storico quarto posto, anticamera della prima, storica partecipazione alla Coppa Uefa. Ancora una volta, dietro il consueto pudico ritegno teso a minimizzare le teorizzazioni per esaltare la qualità dei giocatori, c’era un disegno tattico preciso, evoluzione di quello dei felici tempi veronesi.

Il modulo misto già esaltato da Bearzot veniva orientato al pieno sfruttamento delle caratteristiche degli uomini a disposizione: la difesa contava su un libero fisso, Signorini, e due marcatori spesso a zona, Torrente e Caricola, così da consentire ampia possibilità ai due terzini, Eranio a destra e Branco a sinistra, di diventare laterali a tutti gli effetti aggiungendosi ai tre uomini di centrocampo, l’esterno Ruotolo e i due registi Bortolazzi e Onorati. Era il 5-3-2.
L’anno dopo, la cavalcata in Europa assunse toni epici, ben sintetizzati dalla vittoria sul Liverpool nella tana di Anfield Road, per arrestarsi solo in semifinale di fronte allo strapotere dell’Ajax di Bergkamp e Litmanen destinato al successo finale. I tempi del mago della Bovisa erano maturi per il grande club metropolitano. Impossibile pensare che la sua carriera, a un passo dalla vetta, fosse a due dal chiudersi. Bagnoli tornò nella sua Milano, ma dalla parte nerazzurra, fermamente voluto da Pellegrini nell’estate del 1992.

Il compito, tutt’altro che semplice, era ricostruire sulle macerie lasciate dalla rivoluzione fallita di Orrico. Le premesse per il caos, secondo tradizione nerazzurra, non mancavano: quattro stranieri (Shalimov, Sammer, Pancev, Sosa), mentre il regolamento ne consentiva solo tre. Quattro primedonne poco disponibili ad arrugginire in tribuna. Pancev dopo la prima esclusione non si riprese più, Sammer addirittura a fine anno se ne tornò in Germania. Lui, Bagnoli, continuava a forzare i soliti imbarazzati sorrisi e a lavorare al tornio da artigiano, mentre sull’altra sponda il Milan di Capello radeva al suolo la concorrenza con la spavalderia del rullo compressore.
Ancora una volta, a una partenza in sordina fece seguito una crescita costante e inarrestabile, come il lavoro di rifinitura di Bagnoli prese a produrre frutti. In sette giornate, lo svantaggio dai rossoneri scese da undici a quattro punti (allora la vittoria ne concedeva solo due), rendendo decisivo lo scontro diretto, chiuso in un pareggio.
L’Inter dovette accontentarsi della seconda piazza, un bel trampolino per la stagione successiva.
Ma le basi appena gettate già saltavano in aria per il blitz di metà febbraio, con cui Pellegrini era riuscito a ingaggiare a suon di miliardi il conteso olandese Bergkamp assieme al regista Jonk, inserito nel pacco dai mercanti dell’Ajax. Bagnoli aveva trasformato Ruben Sosa in un micidiale cacciatore di gol, ma alla refrattarietà di Bergkamp ad ambientarsi in Italia dovette arrendersi.
Offrì di malavoglia spazio all’altro tulipano dalla difficile pronuncia («il Gionc», lo chiamava) e a febbraio, con la squadra al sesto posto, venne cacciato da Pellegrini.

Quanto fosse lungimirante quella scelta, seppure a fronte di risultati sotto le attese, lo avrebbero dimostrato i rischi di retrocessione corsi dal suo successore, Giampiero Marini. Ma quella porta in faccia gli suonò come uno schiaffo insopportabile. «Via, si dimetta» gli aveva chiesto Pellegrini. «No, si vergogni» aveva risposto lui. Per chiudersi poi in un ostinato mutismo, mai più interrotto se non per frugali risposti dal suo esilio dorato.

Senza polemiche, senza rancori, con la serenità dei nervi distesi: «L’Inter mi ha mandato in pensione in anticipo, ma non voglio darle troppe colpe. Ero ben predisposto.
I primi mesi da esonerato mi dimostrarono che stavo bene anche senza il calcio attivo: stare in campo mi piaceva, ma non sopportavo più il contorno».
E se qualcuno ancora oggi bussa alla sua ruvida scorza di milanese amabile dalla sincerità scontrosa, ripete:
«Io sono un uomo fortunato, perché ho giocato a pallone e ho potuto mettere da parte qualcosina. Se io oggi sono un pensionato sereno, lo devo al calcio. La mia vita è stata molto impegnata e, se tornassi indietro, forse cercherei di trovare qualche spiraglio per il tempo libero. Oggi che di tempo ne ho, capisco quanto è importante.
Ma non parlatemi di sacrifici, per favore. I sacrifici, quelli veri, li fanno gli operai».

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Stadi d’Italia

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Autore: Sandro Solinas

Ci possono essere molte ragioni per cominciare a scrivere un libro, generalmente però si tratta di possedere un minimo di ispirazione ed un numero sufficiente – si spera – di cose da dire. Questo libro nasce tuttavia da un motivo assai più semplice e forse banale, diciamo che sostanzialmente cominciavo ad essere stufo di aspettare che lo scrivesse qualcun altro. Proprio così, mi pareva impossibile che in terra d’Italia nessuno ancora si fosse occupato di raccontare la storia delle nuove arene che, come i circhi e gli anfiteatri nell’antichità classica, sono ancora oggi i luoghi urbani deputati ad ospitare gli spettacoli sportivi e le manifestazioni di massa. Se la forma architettonica delle strutture è variata poco o nulla, lo spettacolo – ahimè spesso indegno – si è avvicinato poco per volta agli spalti finendo addirittura per riscrivere in parte le regole del gioco. Non ho inteso affrontare in questo contesto il complesso discorso del tifo organizzato che popola in maniera colorata e spettacolare curve e gradinate degli stadi italiani, né in ogni caso avrei potuto farlo non avendo un’adeguata conoscenza del fenomeno. Resterebbe altresì deluso chi volesse ricercare tra queste pagine una dettagliata descrizione delle strutture dal punto di vista architettonico. Ben pochi sono gli stadi degni di nota sotto questo profilo, pochissimi quelli costruiti nel Dopoguerra, e comunque fortunatamente esiste già una vasta letteratura in materia. Ho cercato invece di sottolineare il lato storico e quello sportivo di ciascun impianto visitato, senza alcuna pretesa di aver esaurito l’argomento che, in altre nazioni, gode di ben altra considerazione con regolari e riuscitissime pubblicazioni. Del resto, sono proprio gli stadi italiani a non lasciarsi amare, avviliti tra poco eleganti tribune in tubi metallici e poco confortevoli soluzioni architettoniche figlie di discutibili ristrutturazioni ripetutesi nel tempo. Niente atmosfera, poca identità e anche una buona dose di sfortuna se è vero che gran parte degli impianti costruiti negli ultimi anni ha coinciso con sconcertanti debacle sportive delle squadre che ospitano, a cominciare dall’unica società professionistica proprietaria di uno stadio in Italia, la Reggiana. Spero semmai di aver contribuito con questo libro a restituire un briciolo di dignità e rispetto agli stadi delle nostre città, alcuni rimossi o scivolati nell’oblio, altri ricchi di storia e prestigio, tutti indistintamente testimoni di gioie e dolori di intere generazioni di italiani. La scelta degli stadi visitati o qui trattati non ha seguito una particolare logica; se da un lato ho cercato – per quanto possibile e non senza dolorose rinunce – di attenermi ai principali stadi che hanno ospitato negli ultimi anni il calcio professionistico, dall’altro mi sono permesso di includere qualche impianto momentaneamente fuori del giro o comunque degno di attenzione. In qualche caso, poi, si può dire che la fama raggiunta dallo stadio – e penso soprattutto a Viareggio, Rieti e Marsala – sia più meritata di quella ottenuta dalle rispettiva squadre, almeno negli ultimi anni. Sicuramente mille altre città e mille altri stadi avrebbero avuto tutte le carte in regola per figurare nel testo, nessuno me ne voglia per questo. Vorrei ricordare e ringraziare Vincenzo Paliotto che, oltre ad aver contribuito efficacemente, ha per primo creduto nel mio progetto sostenendomi incessantemente fin dal principio. E poi gli amici Giancarlo Filiani, Gabriele Orlando, Fabrizio Pugi e Luigi Venturi che con le loro foto e i loro stupefacenti archivi personali, hanno saputo illustrare meglio di chiunque altro la storia dei nostri stadi. A loro va un grosso grazie da parte di quanti, come me, sono rimasti legati al calcio di ieri e l’altrieri. Per ultimo, desidero ringraziare i signori Marco Van Basten, Roberto Baggio e Paolo Di Canio per avermi riportato a seguire una gara allo stadio dopo tanto tempo, ricordandomi di guardare ogni tanto anche sul campo di gioco.
L’Autore
Sandro Solinas (Pisa, 1968) si è laureato a Roma in Economia e Commercio con una vergognosa tesi sul celebre caso del calciatore Bosman; ha prontamente rimediato cominciando ad interessarsi voracemente di Storia Medievale, Letteratura del Fantastico ed altri temi assai più nobili. Dopo aver girato (più in lungo che in largo) l’Italia, negli anni Novanta si è trasferito per due anni in Irlanda, avvicinandosi pericolosamente al modesto campionato locale di calcio. Della trasferta gaelica rimane oggi solamente il sito web Into The West, vero oggetto di culto della sparuta ma agguerrita tifoseria del Galway United, ed una bandiera italiana donata alla squadra e tuttora religiosamente conservata nella club house di Terryland Park. La passione per la storia degli stadi di calcio sembra essere recente, ma più d’uno sostiene di ricordare Solinas ancora bambino fissare tribuna e gradinate dell’Arena Garibaldi mentre Pisa e Livorno se le davano di santa ragione sul campo. Tifoso distratto, reo confesso di aver cambiato più volte squadra, oggi Solinas si interessa di storie e personaggi minori del gioco del calcio, anzi del pallone come si ostina tuttora a chiamarlo rivelando impietosi limiti di maturità. Va detto, peraltro, che nonostante le quaranta primavere continua onorevolmente la propria carriera calcistica di cui sta spendendo gli ultimi spiccioli sui campi dell’oratorio. Anche qui, tuttavia, si è trovato spesso fuori dagli schemi, troppo tecnico per fare il mediano, troppo ruvido per giocare da regista. Sposato con Monika, Solinas vive da qualche anno a Vicenza e collabora saltuariamente con varie testate sportive in rete, tenendosi a debita distanza da snervanti blog e chat. (Fonte: Web Site Bonanno)
Casa editrice: Bonanno
Roma – via Torino, 150
Acireale – via Vittorio Emanuele, 194
Tel. 095.601984
Fax. 095.9892305

Novembre 2008: 18 cambi di guida tecnica

Aek Atene, Bajevic è il nuovo tecnico | 24.11.2008 – All. Super League Greece (GRE)
Arleo torna al Potenza | 19.11.2008 – All. Lega Pro – 1^ Divisione Gir. B
QPR, Paulo Sousa è il nuovo tecnico | 19.11.2008 – All. Football L. Championship (ING)
Sanderra al Barletta | 19.11.2008 – All. Lega Pro – 2^ Divisione Gir. C
Benevento, Soda nuovo allenatore | 19.11.2008 – All. Lega Pro – 1^ Divisione Gir. B
Alghero, esonerato Giorico. Arriva Corda | 18.11.2008 – All. Lega Pro – 2^ Divisione Gir.A
Potenza, esonerato Gautieri | 17.11.2008 – All. Lega Pro – 1^ Divisione Gir. B
Germinal Beerchoot, Anthuenis in panchina | 17.11.2008 – All. Juliper League (BEL)
Patania nuovo tecnico del Cassino | 13.11.2008 – All. Lega Pro – 2^ Divisione Gir. C
Panionios, esonerato Lienen | 13.11.2008 – All. Super League Greece (GRE)
Il Südtirol esonera D’Angelo e chiama Alessandrini | 13.11.2008 – All. Lega Pro – 2^ Divisione Gir. A
Maurizio D’Angelo non è più il tecnico del Südtirol. Al suo posto il club altoatesino ha nominato il 54enne Marco Alessandrini, lo scorso anno sulla panchina del Gubbio. (Fonte: TMW)
Perrin nuovo tecnico del Saint Etienne | 11.11.2008 – All. Ligue 1 (FRA)
Venezia, Cuoghi nuovo allenatore | 11.11.2008 – All. Lega Pro – 1^ Divisione Gir. A
Il Vaduz esonera Hermann e chiama Littbarski | 05.11.2008 – Super League (SVI)
Ternana, Baldassarri nuovo allenatore | 05.11.2008 – Lega Pro – 1^ Divisione Gir. B
Foligno, è Indiani il nuovo allenatore | 05.11.2008 – Lega Pro – 1^ Divisione Gir. B
Di Carlo nuovo allenatore del Chievo | 04.11.2008 – Serie A (ITA)
Mihajlovic al Bologna | 03.11. 2008 – Serie A (ITA)